LA RESISTENZA AL SUD
ASPETTI SCONOSCIUTI
DEL SUD
(Articolo ripreso da “La voce del sud”) Mario
Varesi
Si ricordano da 50 anni le
azioni partigiane, con tanto di monumenti, lapidi, onorificenze militari,
tuttora conferite.
Nessuno, o quasi, ricorda
invece l'ostilità della gente del Sud agli invasori alleati. Vero:
non ci fu qui guerriglia armata, ma ostilità e propaganda patriottica.
Ciò per volontà precisa di Mussolini, che volle escludere
il fratricidio della lotta civile e il rischio di rappresaglie anglo-americane.
Volontà espressa alla Principessa Maria Pignatelli di Cerchiara,
che attraversò i fronti, prima per abboccarsi col Duce, poi per
rientrare a Napoli e comunicare al marito Valerio le direttive ricevute.
Furono perciò riannodati clandestinamente i gruppi delle “Guardie
ai Labari”, costituiti dal P.N.F. dal 1943 in previsione di sbarchi nemici.
Responsabili dei gruppi furono, in Sicilia, Santagati, Russo e d'Alì,
l'avv. Luigi Filosa in Calabria, l'Avv. Nando di Nardo a Napoli.
Buon gioco all'attività
dei gruppi furono: - l'economia sempre più disastrata; - l'inflazione
galoppante, con le amlire stampate dal governo militare alleato; - il ritomo
della mafia al potere, compenso per l'aiuto all'invasione; - la cresta
rialzata della dirigenza prefascista, spazzata dal fascismo; - il blocco
dei salari; - la riduzione del pane da 300 a 200 grammi, favorendo il mercato
nero.
Così il 19 ottobre
1944 si scatenò la repressione dei soldati della Div. Sabaudia,
che spararono contro la folla in dimostrazione alla prefettura di Palermo
al grido: “Pane, lavoro”.
Ulteriore scintilla la chiamata
alle armi delle classi 1922-1923-1924, per combattere contro la Germania
e la R.S.I., mobilitazione sostenuta dai comunisti, ancora una volta dimentichi
delle istanze popolari.
A pieno diritto la gente negava
fiducia al regno del Sud, fatto da quegli stessi politici e militari che
il 25 luglio proclamarono “La guerra continua”, l'8 settembre tradirono
la Germania e il popolo italiano, che il 9 fuggirono a Brindisi in braccio
agli angloamericani, abbandonando i soldati, il 13 ottobre dichiararono
addirittura guerra alla Germania. Così a Chiaramonte Gulfi iniziarono
quelle manifestazioni, esplose poi a Comiso con testarda gagliardia. Si
scriveva sui muri e si ripeteva in improvvisati comizi: “Non presentatevi”,
“Presentarsi significa servire i Savoia”, “Non vogliamo andare contro i
fratelli del Nord”. E così a Noto, Naro, Piana degli Albanesi, Ramacca
Giarratana, Modica, Scicli, ecc.
Anche le forze di polizia
inviate furono disarmate e respinte. Il 6 gennaio 1945 la rivolta di Ragusa
si diffuse ai paesi limitrofi: Vittoria, Acate, Santa Croce Camerina, Chiaramonte.
Ripresa Ragusa dai governativi dopo dura battaglia, Comiso restò
per una settimana a vivere la sua indipendenza con la repubblica di Comiso,
fondata il 6 gennaio 1945: comitato di salute pubblica, squadre per l'ordine
interno, distribuzioni di viveri a prezzi di consorzio, impossibilità
di lasciare la città, pena di morte per i ladri. Il 6 gennaio furono
respinti 10 autocarri militari e una littorina da Palermo con 70 carabinieri.
Respinta altra littorina l'8 gennaio. Occupato l'aeroporto.
Da Roma Bonomi telegrafò
ad Aldisio: “Azione per stroncare definitivamente sedizione deve essere
condotta a fondo e senza alcuna incertezza”. L'11 gennaio il Gen. Brisotto
circondò la città. I bombardieri inglesi sono pronti a Licata
per bombardare. “Se Comiso non si arrenderà, sarà distrutta”.
Intervenne allora la popolazione e, tramite il clero, si addivenne alla
resa. Queste le condizioni: deporre le armi, nessuna rappresaglia. Fu illusione:
più di 2000 comisani languirono a Ustica, amnistiati solo nel 1946
per la proclamazione della Repubblica Italiana.
Peccato che nessuno ricordi
questa fedeltà alla patria, una dalle Alpi a Linosa.
Anche questa è storia,
locale, sia pure in un quadro generale: soprattutto senza colpo alla nuca
e pugno chiuso.
L’ULTIMA CROCIATA N. 3. 1995. (Indirizzo
e telefono: vedi PERIODICI)
DALLE RIVOLTE
DEI “NON SI PARTE” NACQUE LA REPUBBLICA FASCISTA A COMISO
Ma dopo una serie di sanguinosi scontri a fuoco
con i reparti dell’esercito badogliano, che provocarono numerosi morti
e feriti i fedelissimi di Mussolini furono costretti a capitolare l'11
gennaio del 1945 sotto la minaccia dei bombardamenti terroristici degli
aerei britannici.
Emilio Cavaterra
Cinquantadue anni fa, una
cittadina siciliana si autoproclamò "Repubblicafascista"
indipendente dalla Corona d'Italia e di conseguenza svincolata dal governo
Badoglio allora insediato in quel di Brindisi. Era Comiso, in provincia
di Ragusa, un abitato assai antico che si rifà alla remota Casmene,
fondata dai greci nel 643 a.C. sulla direttrice Agrigento Siracusa, in
quel quadrilatero dell'Isola, cioè, che diede del filo da torcere
sia alle scarse truppe badogliane, sia a quelle ben più consistenti
dei così detti “alleati”, per le sue turbolenze politiche di stampo
fascista. Fu, comunque, una “Repubblica” ben più rilevante ai fini
storici di quella, mitizzata oltre ogni limite malgrado la sua modesta
rilevanza anche militare, messa in piedi per poco tempo dai partigiani
nella Val d'Ossola durante i diciotto mesi della Repubblica Sociale Italiana.
L'insorgenza dei fascisti
Ma vediamo, anzitutto, la
cornice di questa per molti aspetti incredibile vicenda bellica. Ben pochi
sanno, e le rievocazioni storiche solitamente di parte non hanno certo
aiutato a diffonderne le cronache e nemmanco il ricordo, che l'”insorgenza”
fascista nel Mezzogiorno d'Italia si manifestò all'indomani del
25 luglio 1943 che defenestrò Benito Mussolini dalla carica di Capo
del Governo. Furono dapprima moti spontanei, spesso improvvisati, sempre
volontaristici; in seguito, vennero incanalati e organizzati da personaggi
che avevano ricoperto cariche di rilievo provinciale nelle strutture del
Regime, ma anche da emissari del Partito fascista repubblicano di Alessandro
Pavolini, giunti direttamente al Sud della Penisola dalla Repubblica Sociale
Italiana. La Sicilia in particolare, dove più serpeggiavano velleità
separatiste mentre la “mafia di campagna” sgominata dal “Prefetto diferro”
Mori, rialzava la testa, in ciò aiutata dai “picciotti” italo-americani
sbarcati al seguito delle truppe statunitensi, aveva cominciato a reagire
al “nuovo corso” badogliano. Sulle prime si trattò di una resistenza
al limite del velleitarismo con vistose punte di goliardia; e di fatti,
coloro che si ribellarono in quei giorni all'arresto del Duce del Fascismo
e la conseguente inevitabile implosione della complessa architettura del
Regime, risultarono essere, almeno nelle fasi iniziali, studenti di liceo
o tutt'al più di università, tutti dunque assai giovani.
Cominciarono a diffondere volantini vergati a mano, poi a tracciare scritte
sui muri, gli uni e le altre inneggianti al Duce e al Fascismo; infine
ci fu una sorta di “salto di qualità”, ma sempre senza neanche un
simulacro di organizzazione magari soltanto paramilitare, con alcuni episodi
di sabotaggio alle linee elettriche, ai collegamenti telefonici, ai binari
ferroviari e perfino agli autocarri militari “alleati”. Soltanto all'indomani
dell'8 di settembre, quando automaticamente fu sciolto il vincolo fra il
potere regio e il popolo, l'insorgenza» fascista acquistò
sostanza e organicità, radicandosi anzitutto sul territorio e dunque
sfruttando il malanimo, il risentimento e la collera della gente, contro
i Savoia e gli alti Comandi militari. Furono organizzate manifestazioni
di piazza per protestare contro la mancanza di viveri e la carenza di trasporti,
ma la “svolta” si ebbe con le dimostrazioni contro la chiamata alle armi.
“No” alle armi badogliane
Qualcuno le definì
le rivolte dei “non siparte” che né le Prefetture con le loro striminzite
forze di polizia, né i ben più organizzati e funzionali Carabinieri,
riuscirono a contenere; si limitarono, tutti, a inviare “segnalazioni”
al governo di Badoglio per scaricarsi la coscienza e non soltanto quella.
Per l'intero arco dell'anno 1944, in varie città della Sicilia centinaia
di giovani scesero in piazza in segno di protesta e sui muri apparvero
scritte inquietanti per i poteri malamente costituiti e sempre sorretti
dagli invasori angloamericani. Esortavano i loro coetanei a non presentarsi
alla chiamata di leva, invitavano a darsi alla macchia per non combattere
"contro i fratelli del Nord" sollecitavano a non “servire i Savoia”.
Ma quelle scintille accesero ben altrimenti incontrollabili incendi, come
a Catania, il cui municipio venne dato alle fiamme da una folla inferocita;
anche nella zona ragusana furono registrati duri moti di piazza con relativi
assalti a uffici pubblici e perfino alle Stazioni dei reali Carabinieri.
come accadde in quel di Giarratana, sempre nella provincia di Ragusa. In
breve, i disordini di piazza dilagarono anche nell'Agrigentino, con scontri
a fuoco tra le truppe dell'Esercito regio e i dimostranti che non erano
peraltro soltanto fascisti, anche se questi ultimi prendevano spesso l'iniziativa
e il comando delle manifestazioni di protesta; si contarono numerosi i
morti ed i feriti, tutti fra i civili. Ormai era emergenza e da Siracusa
come da Gela mossero reparti di fanteria in assetto di guerra che impegnarono
gli insorti nelle varie località della provincia, riuscendo dopo
aspri combattimenti a riprendere il controllo della situazione. Dovunque,
fuorché a Comiso. Rinserrata nelle sue mura medievali, la cittadina
respinse i militari e le profferte di tregua dai loro ufficiali avanzate;
poi, essendo in prevalenza fra i rivoltosi quei giovani ch'erano stati
ribattezzati “i non si parte”, fondarono una minirepubblica autonoma dal
potere centrale, in ciò aiutati da un agente segreto giunto dall'Italia
settentrionale, l'ingegnere Lorenzo Carrara, il cui pseudonimo era Renzo
Renzi.
Costui prese in mano la situazione
e organizzò la resistenza che ebbe momenti di intensa drammaticità
e costò decine di vittime, dal momento che i reparti dell'Esercito
badogliano erano stati dotati di armi di tutto rispetto, come mitragliere,
cannoni e addirittura carri armati, tutto materiale bellico fornito dal
Comando britannico. Gli scontri si moltiplicarono durante l'assedio che
si protrasse per qualche giorno di fuoco; e mentre gli altri paesi dell'interno
cadevano uno dopo l'altro nelle mani dei reparti militari fatti affluire
anche dalla Calabria, (fra questi anche Partanna, autoproclamatasi Repubblica
autonoma), i “non siparte” continuavano a resistere. Poi, sotto il martellamento
degli obici regi e in previsione dell'attuazione della minaccia di essere
rasa al suolo dai bombardamenti a tappeto degli aerei inglesi, anche Comiso
cedette e capitolò. Si contarono i morti e i feriti: ventisette
i primi, ottantasette i secondi. Arrivò anche, puntuale, la vendetta
badogliana: quasi trecento insorti, la maggioranza dei quali fascisti riconosciuti
e schedati, furono incatenati e trasferiti nell'isola di Ustica, dov'era
stato approntato un altro campo di concentramento. Erano coloro i quali
avevano dotato la "Repubblica autonoma fascista di Comiso" di
ordinamenti, norme, decreti e regolamenti ispirati alla legislazione della
Repubblica Sociale Italiana. Era l'l1 gennaio del 1945. Dietro i reticolati
del «gulag” savoiardo, i trecento insorti rimasero fino all'anno
successivo quando, sul finire del conflitto mondiale, venne decretata l'amnistia.
Ma prima dei provvedimenti di clemenza che chiusero la pagina dell'”insorgenza”
fascista nel Mezzogiorno d'Italia, ci fu un ulteriore “giro di vite” contro
i fedeli mussoliniani che, spesso a rischio della vita e sempre sfidando
pericoli e persecuzioni, mantennero alta la bandiera della fedeltà.
STORIA VERITA' N. 1. Maggio-Giugno 1996. (Indirizzo
e telefono: vedi PERIODICI)
PERCHE' NON CI FU GUERRA CIVILE AL SUD
Francesco Fatica
Nella primavera del '43 Carlo Sforza, segretario
del PNF, propose di preparare, fra gli organizzati del Partito, una forza
clandestina di resistenza nella previsione di una imminente invasione.
Mussolini aderì alla proposta e suggerì anche il nome dell'organizzazione:
"Guardie ai Labari", ma impose di darle un carattere esclusivamente
ideale, senza fornire armi.
E' evidente che questa precauzione fu presa per
evitare che nelle terre occupate avvenissero sanguinose rappresaglie. A
capo dell'organizzazione fu posto il principe Valerio Pignatelli di Cerchiara,
colonnello dei paracadutisti, pluridecorato, valoroso combattente di tutte
le guerre, più volte ferito.
Seguì il 25 luglio e, naturalmente, venne
messa da parte l'idea di creare formazioni clandestine. Tuttavia Pignatelli
ritenne di continuare la preparazione della futura attività clandestina.
Intanto, già il 27 luglio nasceva spontaneamente
- a Trapani - il primo gruppo clandestino fascista nella Sicilia invasa.
Mentre i fascisti del resto d'Italia, e sui vari fronti, venivano frenati
nei loro impulsi di ribellione dalle continue dichiarazioni ufficiali del
governo Badoglio di voler continuare la guerra a fianco dell'alleato tedesco.
Per chi non ha vissuto il clima dell'era fascista
potrà essere opportuno chiarire che l'amore per la Patria era l'imperativo
sovrano di ogni fascista, perciò in quel frangente nessuno osò
pensare di arrivare a nuocere alla Patria in guerra con aperte lotte intestine.
Ma, appena fu chiaro l'inganno con la rivelazione palese dell'armistizio,
l'attività clandestina fascista ebbe un notevole impulso: gruppi
clandestini fascisti sorsero spontaneamente un po' dappertutto e mentre
al Nord, costituendosi la RSI, migliaia di volontari si presentarono alle
armi, nelle terre invase la lotta clandestina fu avviata con lo stesso
rabbioso stato d'animo, pur tra mille difficoltà e superando proibitivi
ostacoli di comunicazioni, assoluta mancanza di mezzi, persecuzioni e deportazioni,
sfidando bandi dell'invasore che comminavano la pena di morte per i sabotatori
e per i detentori di armi.
Da più parti si tentò e talvolta si
riuscì a prendere contatto con la RSI, passando clandestinamente
le linee. Furono scoperti imbarcazioni a motore MAS che stavano effettuando
la traversata del Tirreno partendo dalla Sardegna per approdare sulle coste
della RSI.
Valerio Pignatelli aveva preso accordi con Barracu
prima dell'invasione della Calabria e da lì teneva contatti radio
col Nord.
Le direttive che giungevano dalla RSI erano costantemente
orientate ad evitare spargimento di sangue fraterno. Tuttavia, alcuni gruppi
clandestini spontanei si spinsero a svolgere attività terroristica
con l'uso di esplosivi.
In Sicilia gli Alleati, avendo scoperto il primo
gruppo clandestino fascista a Trapani, avevano processato quei giovani,
fra cui una ragazza, condannandoli a pene varie. Salvatore Bramante, riconosciuto
colpevole di sabotaggi e di detenzione di armi, fu condannato a morte.
Analoghi processi gli Alleati svolsero contro gruppi organizzati di fascisti
clandestini ad Agrigento e a Lecce, ma poi preferirono lasciare al governo
Badoglio l'onere e l'impopolarità di perseguire i fascisti clandestini.
I Tribunali militari territoriali di guerra furono investiti della responsabilità
di processare le bande armate dei clandestini, ma gli italiani dei Tribunali
militari non se la sentirono di infliggere pene capitali ed invece di applicare
il codice militare di guerra usarono disinvoltamente il codice penale,
molto meno drastico, così la costituzione di bande armate fu derubricata
in associazione a delinquere. Tuttavia i processi portati a compimento
furono pochi e tutti finirono per sgonfiarsi definitivamente nell'amnistia
del 1946.
Dai carabinieri reali, dai questori, dai prefetti
giungevano al governo della "King's Italy" i rapporti sull'attività
clandestina dei fascisti. I CC.RR. della Sardegna nel maggio '44 concludevano
in un rapporto ufficiale che dagli elementi raccolti si aveva "la
certezza dell'esistenza nell'isola di focolai fascisti che covano desideri
di rivincita......"
In effetti l'organizzazione clandestina fascista
sia in Sardegna sia nelle altre regioni occupate, aveva coinvolto anche
militari di ogni grado in servizio. Inoltre erano avvenuti tumulti, manifestazioni
pubbliche, erano apparse scritte sui muri, circolavano giornaletti clandestini
e volantini scritti a mano o a macchina, sicché‚ appena il governo
Badoglio decise la chiamata alle armi, ci furono cortei di protesta, tumulti,
assalti ai municipi ed alle caserme dei carabinieri. In particolare in
Sicilia i fascisti, che in un primo tempo avevano avversato apertamente
i separatisti, cambiarono radicalmente tattica e si inserirono in tutte
le manifestazioni separatiste portando cartelli inneggianti al Duce e scritte
di manifesta concezione fascista. In Sicilia, dunque, appoggiandosi ai
separatisti e strumentalizzandoli non appena possibile, i fascisti furono
protagonisti di rivolte armate che coinvolsero, oltre le forze locali,
anche le truppe badogliane inviate in tutta fretta dal continente a sedare
le sommosse che avevano già registrato parecchi morti e feriti.
Continuò a resistere la "Repubblica
di Comiso", dove gli insorti respinsero decisamente sia i carabinieri
reali sia i reparti regolari dell'esercito badogliano appoggiati da carri
armati. I fascisti, guidati dall'Ing. Carrara, dichiararono la repubblica
indipendente dal governo regio con ordinamenti di chiara ispirazione fascista.
Poi, il 13 gennaio 1945, circondata da ingenti forze
corazzate e soprattutto per la minaccia esplicita e concreta di indiscriminati
e devastanti bombardamenti aerei da parte degli inglesi, la "Repubblica
di Comiso" capitolò. Bilancio delle perdite umane: tra i badogliani
due ufficiali, un sottufficiale e quindici tra carabinieri e militari di
truppa, ventiquattro soldati feriti; tra i rivoltosi diciannove morti e
sessantatré‚ feriti; duecentonovantacinque furono arrestati e deportati
nell'isola di Ustica. Mussolini non voleva spargimenti di sangue italiano
perciò a Valerio Pignatelli furono date chiarissime istruzioni di
"non spargere sangue fraterno sul sacro suolo della Patria".
Sollecitato a recarsi in RSI, lasciandosi però la possibilità
di tornare al Sud, Pignatelli riuscì ad ottenere un lasciapassare,
ma soltanto per la moglie, attraverso i buoni uffici del tenente di vascello
Paolo Poletti, inoltrato nell'OSS americano. La principessa Maria Pignatelli,
donna di rarissime virtù, dotata di altrettanto ardimento, spirito
di iniziativa e fede fascista quanto il marito, attraversò le linee,
rischiando la vita sui campi minati, s'incontrò con Barracu e quindi
fu portata in aereo da Mussolini, che voleva essere minutamente informato
sull'attività clandestina fascista.
Alla Principessa Mussolini diede ancora precise
istruzioni di non provocare spargimento di sangue fraterno. Al ritorno
la Principessa, che era stata spiata al Nord, fu arrestata e subito dopo
lo fu anche il Principe. Paolo Paoletti fu torturato fino ad impazzire
in una villetta alle pendici del Vesuvio dove gli anglo-americani tenevano
i loro "interrogatori", fu poi rinchiuso nel carcere di S. Maria
Capua Vetere e assassinato da un sergente americano, che aveva predisposto
un fasullo tentativo di fuga per crearsi una giustificazione.
La Principessa fu due volte messa al muro-inscenando
finte non parlò. Nulla si ottenne dagli interrogatori del Principe,
che fu processato e condannato dal Tribunale militare territoriale della
Calabria.
A capo dell'organizzazione clandestina fascista,
dopo l'arresto di Pignatelli, si avvicendarono prima l'avv. Nando di Nardo
e poi l'arch. Antonio de Pascale, in tempi successivi anche loro arrestati
e deferiti al Tribunale militare.
Tra le altre attività si era scoperto a Napoli,
in via Broggia n. 3, l'alloggio di Palmiro Togliatti, che all'epoca si
nascondeva sotto il nome di copertura Ercole Ercoli.
Sarebbe stato facile sopprimerlo, ma anche in questo caso Mussolini
si oppose allo spargimento di sangue tra italiani. In effetti Mussolini
volle sempre evitare spargimento di sangue fraterno e bloccò sul
nascere lo scoppio della guerra civile nel Sud.
Non fu certo così per gli antifascisti, che
da radio Bari incitavano ferocemente ad uccidere alle spalle altri italiani
in RSI per provocare deliberatamente le reazioni di fascisti e tedeschi
coinvolgendo la popolazione civile nei massacri.
Sangue chiama sangue.
VOLONTA' N. 1. Gennaio 1996. (Indirizzo e telefono:
vedi PERIODICI)